Miglio, il profeta della Padania

Tre macroregioni, il pensiero forte. La teoria di Gianfranco Miglio, che ipotizzava già all’inizio degli Anni Novanta un’architettura istituzionale basata su un federalismo radicale, senza se e senza ma, non annacquato da alcun aggettivo di stampo democristiano (regionale, solidale, perequativo...), in grado di far emergere ed unire i valori socio economici di tre realtà italiane diverse, ma omeogenee al loro interno.
Il Carroccio prepara la sua campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 13 aprile riproponendo con forza le teorie del professore comasco, con la certezza che oggi esse siano più che mai di estrema attualità, se non altro perchè la coscienza federalista, la necessità di giungere ad un moderno stato federale, ha fatto breccia un po’ ovunque in tutto il paese, non solo al Nord, dove questo sentimento è sempre stato forte.
Con la mossa fulminante (ma non per questo improvvisata) di Silvio Berlusconi che in mezza giornata ha ufficializzato un partito unico del centrodestra (che però nella sua testa era in vita da tempo), mossa che ha spiazzato Veltroni e ha obbligato i partitini a confluire nel suo contenitore per non venire spazzati via, la Lega è stata posta nelle condizioni ideali di essere il partito del Nord che si allea con un unico partito nazionale di centrodestra. In pratica, per la prima volta si costituisce lo schema tedesco: Baviera-Csu con Germania-Cdu. La Padania, dunque, come la Baviera. La macroregione che ha un partito di riferimento che trascina tutto il paese e che trova nell’alleanza con il partito unico di centrodestra ragioni e motivazioni per continuare ad essere la locomotiva di tutta Italia. Perchè ora, la prospettiva è che rispetto ad uno sforzo così grande ci sia comunque il riconoscimento di una propria autonomia, a cominciare da quella fiscale, per arrivare a quella istituizionale.
Miglio, nel 1990, scriveva che “i grandi stati tendono ad adottare strutture federali o quasi-federali: e questo perchè si afferma il vero nazionalismo. Che è il micronazionalismo”. E ancora. “Le grandi nazioni non esistono: più si vogliono estendere i confini di una presunta omogeneità etnica, più ci si allontana dall’autentica radice nazionale che, se è forte, è sempre di dimensioni modeste. La vera nazione è sempre piccola. Chi la fa diventare “grande” è costretto a puntare su pochissimi presunti valori aggreganti, che poco a poco perdono rilievo. E allora si è costretti a gabellare per nazione ciò che è soltanto “Macht-Staat”, lo stato-potenza”. E gli esempi che seguivano, riletti diciotto anni dopo sono davvero illuminanti. Miglio citava “Canada, Jugoslavia, Italia, Belgio e soprattutto l’Unione Sovietica, esemplare collante “metanazionale”, in cui i particolarismi vengono fatti tacere dal marxismo-leninismo, mentre in passato erano oppressi dall’espansionismo della Russia Bianca”.
Dal punto di vista istituzionale Miglio ipotizzava una seconda Camera, rappresentante delle macroregioni, con competenze ausiliarie rispetto al governo centrale: “il luogo istituzionale in cui le macroregioni si confrontano e negoziano palesemente la distribuzione dei rispettivi carichi, soprattutto finanziari e fiscali”. Tutto da sottoscrivere anche oggi.
In principio, dunque, fu la Repubblica del Nord. Come ha ricordato qualche giorno fa Roberto Maroni proprio alla Padania, allora si trattava più che altro di una provocazione. La Lega si stava affermando, cavalcando anche l’ondata dell’antipolitica, che vedeva nella lotta a Roma sommarsi sia i leghisti convinti, sia il qualunquismo dilagante. Oggi c’è consapevolezza. E c’è la necessità di arrivare velocemente al federalismo. Altrimenti c’è il baratro.

Articolo tratto da la Padania del 10/02/2008

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